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"Divide et impera" La dualità e le considerazioni anarchiche.

Una geniale quanto deleteria invenzione occidentale di matrice cristiana, la dualità colpa- espiazione, rappresenta l’altro elemento impositivo del potere elitario che assurge ad arbitro, censore, giudice e giustiziere di coloro i quali nascono e vivono a loro dire nel peccato originale, destinati ad una perpetua battaglia interiore fra bene e male, obbligati a seguire regole e regolamenti perespiare presunte colpe ereditate a prescindere.

Siamo cresciuti all’interno di un sistema educativo basato sulle dottrine impositive, spinti sin dall’infanzia, sotto perenne ricatto psicologico, a vivere ignorando e ad accrescere l’ego attraverso la competizione per il raggiungimento di un traguardo spesso prefissato dagli altri, anche a costo di sgomitare (non sempre nei limiti dell’accettabile) per farsi strada a scapito del prossimo. Il desiderato traguardo è in sostanza l’autoaffermazione, cioè il raggiungimento del proprio posto nel mondo uniformato, oltre che il riconoscimento e l’apprezzamento del proprio operato da parte di una comunità.

Se siamo stati ligi alla dottrina, al diritto che si configura come il “complesso di norme e principi che regola e protegge, su basi di giustizia e in modo vincolante per tutti, la vita di relazione e il comportamento dell’uomo nella società organizzata”, allora possiamo ritenerci dei buoni cittadini, conformi, disciplinati, in buona sostanza, individui “vincenti” sottomessi ad un Sistema.

La razionale giustificazione indotta che attribuiamo alla funzione del Diritto consiste nella prerogativa di impedire che, nell’ambito delle relazioni tra i singoli, si faccia ricorso all’uso della violenza, consentendo di risolvere i conflitti con l’applicazione di regole predeterminate la cui osservanza è garantita dal carattere della coercibilità, attraverso l’applicazione di una caratteristica sanzione per il caso della loro violazione. È evidente che, se colui che comanda e che stabilisce le regole coincide con colui che punisce chi trasgredisce quelle regole, il potere assume inevitabilmente il carattere coercitivo di Sistema blindato, inattaccabile poiché imposto ed accettato aprioristicamente.

Mi viene da pensare che giustificare e dare per scontato che l’agire evolutivo umano sia appunto naturalmente e inevitabilmente questo non sia altro che una ennesima conferma dell’efficacia del “dividi e comanda”, perpetuando appunto acriticamente ciò che ci è stato “insegnato”, evitando anche soltanto di ipotizzare che esisterebbero in vero valide alternative al Sistema.

Ipotizziamo un mondo naturale ancora privo di regole umane, dove l’equilibrio che governa gli eventi fisici non coincida con i principi di morale e giustizia ma si sustanzi in quanto unico elemento tangibile attraverso il quale prende forma e significato la vita cosciente. Possiamo dunque immaginare che, come avviene fra gli animali, ogni evento che si verifichi in un mondo in equilibrio naturale non possa essere soggetto al giudizio di alcun potere morale o giuridico; ed ecco che l’uccisione di un erbivoro da parte di un carnivoro rientrerebbe nella naturale manifestazione dell’istinto alla sopravvivenza, come, allo stesso tempo, la morte per fame di cuccioli abbandonati da una madre carnivora rientrerebbe anch’essa in una casistica che prescinde dai giudizi razionali umani.

È un fatto che, per miliardi di anni, la vita sul pianeta Terra si sia sviluppata ed evoluta in assenza di un pensiero morale che ne valutasse e ne giudicasse ogni suo aspetto. Probabilmente, se consideriamo la vita sul pianeta Terra in termini di tempo e di quantità, potremmo ritenere l’essere umano semplicemente una infinitesimale e recentissima manifestazione di vita coscienziale, tanto effimera rispetto alla natura dell’universo, quanto di fatto dannosa perla sua ingerenza tecno-distopica.

Con la nascita del pensiero razionale, presumibilmente diverse migliaia di anni fa, a seguito del passaggio dei nostri progenitori ominidi da uno stato di “immanenza assoluta” a quello di “disperazione fossile”, tutte le paure, le insicurezze e le debolezze sono improvvisamente affiorate nel pensiero conscio ed hanno preso possesso del nostro intelletto.

La paura della morte, dell’ignoto, dell’ambiente naturale ostile e pericoloso, ci hanno condizionato sino ad oggi senza mai abbandonarci. Nonostante millenni di meditazione, di invenzioni filosofiche, religiose, logiche e razionali, di proiezioni futuristiche per il raggiungimento dell’immortalità e dell’assenza di dolore, ci ritroviamo ancora oggi a combattere contro le nostre paure, ingabbiati e apparentemente protetti da regole sistemiche e pseudo certezze scientifiche, proiezioni spirituali ed innovative, autodistruttive vocazioni transumaniste.

Tornando al motto “divide et impera”, all’effetto Lucifero ed alla dualità delle cose secondo la visione ortodossa dell’esistenza, possiamo in alternativa affermare che potrebbe non esistere affatto alcuna dualità nell’intero universo conosciuto. Questo significherebbe che l’intero apparato sul quale si fonda il potere di pochi a scapito di molti non avrebbe in realtà alcun senso. Se venisse meno la dualità, il conflitto fra bene male, quindi la contrapposizione fra gli opposti, allora si realizzerebbe il mondo perfetto basato esclusivamente sulla condivisione e sul disinteressato, perpetuo scambio energetico.

Per una maggiore comprensione della teoria che ipotizza l’assenza di dualità, riporto uno stralcio dell’intervista al Professor Corrado Malanga, docente di Chimica e ricercatore, rilasciata ad Eugenio Miccoli, nella quale sostiene attraverso le sue considerazioni tanto controverse quanto coraggiose ad esempio che:

“la paura si vive solo perché io credo di vivere in un mondo duale separato da qualcosa, separato da… non so… ho paura di invecchiare, ho paura che il mio amore mi lasci, ho paura di non riuscire a studiare questa cosa, ho paura di prendere un brutto voto. Questo è vedere l’universo, con l’altro, in modo separato e allora, la paura è una misura della separazione dall’altro.

Nell’istante in cui io capisco che non c’è nessuna separazione, che noi purtroppo, o per fortuna, noi siamo tutti una cosa sola, io non posso aver paura di perdere niente perché l’altro che sto credendo di perdere sono sempre io. Io non posso perdere la mia consapevolezza: sono io. E’ impossibile fare questo! La paura nasce dall’idea che io sia separato, che a me manchi qualcosa. Ma l’idea fondamentale, alla fine di tutto questo discorso che è forse la cosa più tremenda, è che noi siamo i creatori del nostro universo!

Noi siamo la coscienza, noi siamo quei pezzettini di coscienza primordiale che si sono divisi in tante coscienze più piccole. Noi quindi siamo la creazione: noi creiamo le cose. Non lo sappiamo e non ce lo ricordiamo. Non ne abbiamo consapevolezza. Ma è giusto che sia così perché, per fare l’esperienza, io mi devo dimenticare chi sono sennò l’esperienza non ha nessun valore. Ammettiamo che io sia il ricco del film americano a New York che vuol fare l’esperienza di essere povero nel Bronx: per una settimana, questa esperienza te la puoi fare, solo se ti dimentichi totalmente che fra una settimana tornerai ad essere ricco.

Sennò non la puoi fare quest’esperienza, la vivi in un altro modo. Quindi noi siamo venuti qui a fare l’esperienza della divisione e della inconsapevolezza ma, una volta che cominciamo a comprendere e ci ricordiamo che le tre sfere, le tre parti luminose, le tre essenze (anima, mente, spirito), le abbiamo chiamate così, che hanno tre coscienze separate, si possono riunificare, noi torniamo a essere i creatori dell’universo”.

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